La storia è nel divenire, ciò non toglie che è possibile fare alcune considerazioni sulla crisi politica ponendoci alcune quesiti preliminari: vivere all’estero può anche favorire un’analisi distaccata dalla situazione. Certamente ci sono argomentazioni articolate e complesse sulla doppia crisi in corso, pandemica ed economica, sui cui pare primeggiare la mancanza di una proposta programmatica per avviare a soluzione i problemi del Paese.
La pandemia, tra le molte contraddizioni, ha fatto emergere il paradosso che i professionisti non debbano occuparsi di politica, come fossero persone fuori dall’ambiente in cui vivono. Questo modo di pensare è figlio degli anni in cui cambiavamo governo a cadenza annuale, nonostante il partito dominante avesse la maggioranza in parlamento e nel paese. Negli anni Settanta-ottanta l’economia girava, male, ma producevamo e vendevamo soprattutto all’estero.
In quel periodo ero a Milano in banca (Cariplo) e un amico impiegato in un comune brianzolo – il riferimento è casuale – mi diceva che l’ammontare del reddito dichiarato degli imprenditori del posto era inferiore al suo stipendio. Era il tempo in cui imprenditori e professionisti, potevano anche disinteressarsi di quello che succedeva a Roma: il PIL cresceva anche se gonfiato dall’inflazione. Ed è infatti negli anni Ottanta che inizia la crescita esponenziale del debito pubblico.
Oggigiorno, l’economia non gira più, non solo in casa nostra, ma ovunque e gli affari languono. Anche nella consulenza. In proposito, notiamo un paradosso a motivo che la ripartenza va programmata sulla base di decisioni informate e certamente il professionista può arrecare un contributo importante.
Noi pensiamo che, necessariamente, anche coloro che si ritenevano immuni dalla contaminazione politica, devono fare i conti con la realtà e prendere posizione per uscire dal dilemma: morire infettati o inetti? Ovviamente dobbiamo sopravvivere e possibilmente vivere meglio. Perché ciò avvenga è necessario che la gestione della cosa pubblica sia condotta da Politici che abbiano visione, obiettivi e capacità di realizzazione. Noi abbiamo notato la politica fatta da attori di Trono di Spade e non da Delegati a gestire il bene comune. Quelli che hanno la maggioranza parlamentare sono rimasti agli slogan e non possiamo certo dare la responsabilità all’avvocato che li rappresenta in quanto, per definizione, non rientra nel suo ruolo di difensore. Non è la sola contraddizione. Alla rappresentanza parlamentare meno numerosa sembra sia stato demandato (si sono auto incaricati?) il compito di opporsi alla deriva dell’inconsistenza la cui massima espressione è data dall’assenza di politica estera. La parte che li sostiene dice che, se il caso, si alleerà con gli inconsistenti …. Nel frattempo, il Paese è in vendita e produce solo marchi, etichette e griffe. Possiamo continuare a disinteressarci della politica?
Nei vari contributi sui programmi di ricostruzione non abbiamo trovato riferimenti concreti al modello di finanziamento dei medesimi, come se la finanza fosse una costante dell’equazione finanziamento; al contrario, cambiare i processi produttivi e non cambiare il modo di finanziare non ha senso.
Qualunque sia l’entità delle risorse che in vario modo saranno disponibili, il problema che si pone è come utilizzarle: le modalità, le finalità e la complementarità dell’uso faranno la differenza. In altre occasioni abbiamo scritto che finanziare gli investimenti con la BEI è ben diverso che distribuire risorse con la procedura BCE (Modalità); più attenzione va data all’economia reale per rispondere alla domanda delle comunità locali con interventi sostenibili che creano occupazione e promuovono opportunità (Finalità); gli investimenti a livello macro devono creare un ambiante ricettivo e favorevole alla microeconomia (Complementarità).
In sintesi, l’avvio a soluzione del problema ripartenza, a nostro parere, esclude il cambiamento delle regole del gioco introdotte dall’Establishment (Agenda ONU, Banca Mondiale-CGAP e altri grandi Attori) tra fine 2015 e inizio 2016.
Il quadro di riferimento europeo e internazionale essendo noto, il comportamento dei giocatori in campo farà la differenza.
In questo contesto abbiamo pensato di contribuire proponendo un modello di finanziamento della crescita passando dall’ECONOMIA BASATA SUL CREDITO ALL’ECONOMIA BASATA SULLE COMUNITÀ. Il modello è stato proposto la prima volta cinque anni fa con la pubblicazione: “FINANCIAL INCLUSION, il cui sottotitolo: “Give people a job not a loan”, per significare che con un reddito il consumatore è libero di chiedere/non chiedere un prestito in piena autonomia perché è giustificato da un piano di pagamenti; inoltre, mira alla diminuzione del ruolo dominante della finanziarizzazione dell’economia che ha prodotto affluenza virtuale e non vera ricchezza.
Cosa significa Economia basata sulle Comunità? Di seguito alcuni punti:
1. Ridisegnare l’intera architettura a favore della povertà e delle piccole imprese e spostare il paradigma degli interventi finanziari dall’economia indebitata all’economia reale e sostenibile attraverso la creazione di posti di lavoro e promozione delle opportunità.
2. Coinvolgere realmente gli investitori privati nel processo di sviluppo sia con la partecipazione al processo decisionale (Board Rooms delle agenzie di sviluppo), sia con l’istituzione di fondi di sviluppo regionali gestiti dai privati, non necessariamente con l’apporto pubblico del seed capital.
3. Utilizzare la leva finanziaria per interventi sostenibili con una revisione del processo decisionale e ripristinare i criteri della concessione del credito, riduzione della finanziarizzazione che ha prodotto affluenza virtuale e non vera ricchezza.
4. La digitalizzazione dei servizi finanziari va fatta con un prodotto sostenibile per il Provider, accettabile dal Consumatore e con prezzo trasparente. Poveri non sono soltanto gli indigenti, ma anche coloro che pur inclusi nei circuiti finanziari necessitano di un più ampio accesso alle fonti di finanziamento.
5. Coniugare insieme tre obiettivi principali dell’agenda 2030 ONU, vale a dire obiettivo 1 (fine della povertà), obiettivo 8 (promuovere la crescita inclusiva e sostenibile) e obiettivo 17 (partnership). Il modello è stato descritto in altri Blogs.
Non trattasi di una proposta Keynesiana perché il settore privato dell’economia è chiamato a svolgere un ruolo cruciale unitamente al comportamento responsabile degli operatori. Non è più accettabile che il valore delle liquidità fluttuanti in cerca di offshore sia dieci volte superiore al PIL prodotto da 188 paesi: anche una piccola percentuale di $ 80,7 trilioni (fonte Banca Mondiale) potrebbe fare la differenza se investiti nell’economia reale. È stato anche stimato che nei passati dieci anni US $ 3 trilioni sono stati reinvestiti in attività finanziarie; in altre parole, è stato massimizzato il valore di mercato delle azioni detenute dai vari stakeholders.
Quanto sopra sono soltanto due delle oltre venti contraddizioni dell’economia finanziaria che abbiamo elencato in precedenti occasioni: THE THEORY OF CHANGE APPLIED TO FINANCE FOR DEVELOPMENT http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/1252660/the-theory-of-change-applied-to-finance-for-development_1268103